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sabato 30 aprile 2016

Pentalfa


Pentalfa è un diverso termine con cui si indica il pentagramma geometrico.
Con Pentalfa s’intende il simbolo non circoscritto in un cerchio, con Pentacolo il simbolo circoscritto in un cerchio e con Pentagramma il segno grafico privo di significato simbolico.

Storia
Le popolazioni più antiche associarono il Pentagramma al pianeta Venere in quanto esso traccia, durante un ciclo di otto anni sull’eclittica, un perfetto pentagramma.

Il pentagramma risale agli antichi Egizi che lo rappresentarono con il segno geroglifico trilettere SB(A) che s’identificava con Horus, figlio di Iside e di Osiride, il Sole. 
Il significato di SBA è sia stella, sia porta e come tale è rappresentato nelle celle funerarie a significare “l’uomo-stella risorto” in atto di orans, ma anche a indicare la porta come passaggio fra due ambienti diversi, quello prettamente materiale e quello spirituale. E’ da notare che l’immagine stilizzata di una stella a cinque punte si ritrova, sempre nell’antica civiltà egizia, sulla fronte della Dea Sothis (Fig. 1) – che successivamente diverrà Iside – a indicare con molta probabilità la stella Sirio e a simboleggiare la perfezione dell’Uomo e/o l’Uomo magico e divino. Inoltre il geroglifico DUAT costituito dal geroglifico SB(A) inscritto in un cerchio (Fig. 2), quindi un vero pentacolo, è riportato più volte nel famoso papiro “Il Libro dei morti”.


Dea Sothis (Fig. 1)


Simbolo Duat (Fig. 2)

La tradizione (ma non esistono prove) afferma che il simbolo del Pentalfa fu ideato da Pitagora, dopo che ebbe risolto il problema del segmento aureo, cioè la proporzione per la quale la parte minore sta in rapporto alla maggiore come la maggiore sta al tutto. Il valore numerico della “proporzione aurea” è 1.618. Quindi il Pentagono risultò la forma geometrica su cui in primis si poteva calcolare la sezione aurea.
Il termine significa "cinque alfa", ossia cinque principi. Ai quattro già convalidati da Empedocle (Aria, Acqua, Terra e Fuoco), Pitagora ne aggiunse un quinto (che divenne poi la Quintessenza degli alchemici), cioè lo Spirito corrispondente al vertice alto della stella in questione.
Era dunque il simbolo dei pitagorici, usato come segno di riconoscimento e come segno della salute fisica ed era tracciato con una circonlocuzione che significava un triplice triangolo intrecciato. 
I Pitagorici davano quindi al pentacolo il significato mistico di Perfezione, esprimente l’armonia tra corpo e anima.



Ma il pentagono, e in particolare la stella in esso contenuta, ha la straordinaria caratteristica di richiamare la forma del corpo umano. Questa proprietà non è sfuggita agli intellettuali del XV e XVI secolo, come Heinrich Cornelius Agrippa, che ne hanno fatto diverse rappresentazioni grafiche dai significati occulti.
In effetti il pentagramma, con le sue cinque punte, ricorda proprio la disposizione della testa e dei quattro arti distesi.


Significato esoterico

Il pentalfa è espresso dal numero 5.
Nell’iconografia esoterica il segno del Pentalfa è il simbolo dell’Uomo. 
Nel senso più stretto esso rappresenta i 5 Regni di Natura contenuti dall’Uomo e la sua Forma:

Regno minerale: contenuto nel suo scheletro; 
Regno vegetale: contenuto nei suoi fluidi; 
Regno animale: corpo fisico e dei suoi organi; 
Regno umano: Il mondo del Pensiero, unito prima con gli istinti, passioni e desideri al regno precedente, mentre attraverso la parte più alta e qualificata della Psiche o Ego, si collega poi al regno seguente il 5°. 
Regno spirituale: investe la parte considerata metafisica dell’Uomo (celeste), la sua Anima e la sua Monade. La loro presenza o per meglio dire, la loro attività nei piani inferiori dell’uomo ne infiammano la mente, illuminandola, e trasfigurandone, spiritualmente, la Personalità.
Pentagramma Magico tratto dal libro di Mosè

venerdì 29 aprile 2016

Cavalieri della Tavola Rotonda - Codice comportamentale

  1. Mai oltraggiare o compiere omicidio.
  2. Evitare l'inganno.
  3. Evitare la crudeltà e concedere pietà a chi la chiede.
  4. Soccorrere sempre le dame e le vedove.
  5. Non abusare mai di dame e vedove.
  6. Mai ingaggiare battaglia per motivi sbagliati quali amore e desiderio di beni materiali.



martedì 19 aprile 2016

Essere forti

Essere forti non significa dare grandi dimostrazioni di forza. 
Essere forti è mostrare rispetto per la quotidianità. 
Bilanciare forza e delicatezza.


Cuore senza dubbi

Il cuore non ha mai dubbi e sceglie. 
Senza mai chiedersi qual è il prezzo delle sue scelte.

Romero Britto - Heart Kids

Ankh


L'ankh (☥) conosciuto anche come chiave della vita e croce ansata, è un antico simbolo sacro egizio che essenzialmente simboleggia la vita. 
Gli dèi sono spesso raffigurati con un ankh in mano, o portato al gomito, oppure sul petto. 
In funzione di geroglifico l'ankh, oltre che significare "vita", assume diverse sfumature, in base al contesto in cui è inserito, sebbene sempre con caratteri mistici e religiosi.

Il dio Horus porge l'ankh al faraone Seti I

L'ankh appare di frequente nelle opere artistiche dell'antico Egitto. 
Nelle raffigurazioni divine appare come caratteristica delle stesse divinità, ad indicare la natura ultraterrena e l'eterna esistenza di esse. In quanto è la vita il suo significato principale, abbinato agli dèi ne indica la natura di forze cosmiche, generatrici dell'universo e dunque della vita. 
L'ankh veniva utilizzato in particolare come amuleto, capace di infondere salute, benessere e fortuna. Spesso alla morte di una persona, che venisse mummificata o meno, l'ankh era un elemento fondamentale, con il quale il corpo doveva essere sepolto. 
Un altro uso frequente dell'ankh era quello che lo vedeva in funzione di specchio, nel quale il vetro riflettente era posto nell'ansa.

Il significato originale di questo simbolo nella cultura egizia rimane un mistero per gli egittologi, molte ed in contrasto sono infatti le teorie che ipotizzano le origini dell'ankh. 
Molti hanno speculato si tratti di:
  1. Una rappresentazione stilizzata del grembo materno;
  2. Il nodo del laccio delle antiche calzature egizie, i sandali egizi. Tra i fautori di questa teoria ricordiamo Alan Gardiner che ha ipotizzato che l'origine dell'ankh sia da ricollegare al laccio delle antiche calzature egizie. Questa interpretazione (la parte circolare circonda la caviglia, il laccio orizzontale si collega alla tomaia e la parte verticale è collegata con la punta della scarpa) può essere interpretata in senso mistico, tenendo presente che la saggezza egizia vedeva la vita come un sentiero da percorrere, ricco di negatività alternate alle positività, che ogni uomo percorre per giungere alla propria meta, alla propria realizzazione, intesa anche dal punto di vista spirituale: si collega al concetto di Andare, portato dalle divinità del pantheon in simbolo di energia eterna, si collega alla circumambulazione del Cerchio nella Magia rituale egizia;
  3. Una stilizzazione dei genitali umani in atto di unione. Tra i fautori di questa teoria ricordiamo Howard Carter che afferma che l'origine dell'ankh sia da ricollegare alla simbolica unione mistica dei due principi, il principio maschile e il principio femminile. Le due parti dell'ankh, la tau sottostante e l'ansa sovrastante, corrispondono infatti ai simboli di due delle divinità più importanti della religione egizia, Iside e Osiride. L'ansa è il simbolo isiaco, probabilmente una stilizzazione dell'utero; la tau, ovvero una croce senza l'estensione superiore del braccio verticale, è invece il simbolo di Osiride, rimandabile al pene;
  4. Una rappresentazione simbolica del sorgere del sole, con il cerchio simboleggiante il Sole che si è appena levato dall'orizzonte rappresentato dalla linea orizzontale. La sezione verticale sotto la linea orizzontale simboleggerebbe il cammino del Sole;
  5. Una rappresentazione dello stesso Egitto: la parte superiore sarebbe il delta del Nilo e il tratto verticale sottostante il Nilo stesso, mentre le due braccia orizzontali raffigurerebbero il deserto libico, ad ovest, e quello arabico, ad est;

Tempio di Karnak - Ankh nelle mani degli dei


Come simbolo dell'unione dei due principi cosmici sta ad indicare anche l'unione mistica tra il cielo e la terra, ovvero il contatto tra il mondo divino e il mondo umano, nonché l'unione dei due principi intesa come generatrice dell'esistenza. La denominazione chiave della vita, oltre che un richiamo alla forma del simbolo stesso, sta ad indicare anche il significato escatologico del simbolo: l'ankh è anche infatti vita eterna, grazie alla quale l'uomo riesce a superare la morte, per giungere alla rinascita.
In quanto simbolo della vita e dell'immortalità, il suo significato è estensibile a quello di simbolo dell'universo, dato che il cosmo è pura vita, pura esistenza ed eterno alternarsi di cicli regolatori, oltre che costantemente generato dall'alternarsi di principi in eterna opposizione.


Il dio solare Ra con un ankh in mano

sabato 16 aprile 2016

William Ernest Henley - Invictus

Dal profondo della notte che mi avvolge,
Buia come un abisso che va da un polo all'altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia indomabile anima.

Nella feroce morsa delle circostanze
Non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e di lacrime
Incombe solo l'Orrore delle ombre,
Eppure la minaccia degli anni
Mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.


Miracle on the Mountain ©Nathaniel Merz


martedì 12 aprile 2016

Gabriele D'Annunzio - Rimani

Rimani! 
Riposati accanto a me. 
Non andare.
Io ti veglierò. 
Io ti proteggerò. 
Ti pentirai di tutto fuorché di essere venuto a me, liberamente, fieramente. 
Ti amo.
Non ho nessun pensiero che non sia tuo;
non ho nel sangue nessun desiderio
che non sia per te. 
Lo sai.
Non vedo nella mia vita altro compagno,
non vedo altra gioia.
Rimani. 
Riposati. 
Non temere di nulla.
Dormi stanotte sul mio cuore.


Diego Fazio (DiegoKoi Art) - Lo specchio dell'anima

lunedì 11 aprile 2016

Uroboro - Un simbolo antico

Il serpente Ouroboros riprodotto nel 1478 da Theodoros Pelecanos 
sulla base di un manoscritto perduto di Sinesio (370-413 d.C.)

L'Uroboro, detto comunemente Ouroboros (ma anche Oroborus, Uroboros e Oroboro, dal Greco "οὐροβόρος ὄφις", serpente che mangia la coda), è un simbolo molto antico, presente in tutti i popoli e in tutte le epoche. Rappresenta un serpente o un drago che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine.
Apparentemente immobile, ma in eterno movimento, rappresenta il potere che divora e rigenera se stesso, l'energia universale che si consuma e si rinnova di continuo, la natura ciclica delle cose, che ricominciano dall'inizio dopo aver raggiunto la propria fine. Simboleggia quindi l'unità e l'androgino primordiale, la totalità del tutto, l'infinito, l'eternità, il tempo ciclico, l'eterno ritorno, l'immortalità e la perfezione.


Origine del nome
Il nome "Uroboro", usato in Occidente per indicare la figura del serpente che si morde la coda, è di origine incerta, ma probabilmente di matrice greca. Lo studioso Louis Charbonneau-Lassay lo fa derivare dal greco οὐροβόρος, dove οὐρά (ourà) significa "coda" e βορός (boròs) vuol dire "divorante". Secondo un'altra etimologia, legata alla tradizione alchemica, Ouroboros significherebbe "re serpente": «In Lingua copta Ouro significa "re", mentre Ob, in ebraico, significa "serpente"».

Antico Egitto
Horus bambino, il Sole nascente circondato dal serpente Mehen
 nel Papiro di Dama-Heroub

La più antica rappresentazione occidentale di un Ouroboros si trova in un antico testo funerario egizio, chiamato The Enigmatic Book of the Netherworld, ritrovato nella Tomba (KV62) del Faraone Tutankhamon della XVIII Dinastia.
Nell'immagine, incisa all'interno del secondo scrigno, che conteneva il Sarcofago del Re, sono rappresentati due serpenti che si mordono la coda e circondano la testa e i piedi di una figura divina mummiforme. Entrambi i serpenti sono manifestazioni della divinità Mehen, il benefico Dio serpente che protegge la Barca solare di Ra e il cui nome significa "colui che è arrotolato".
Un'altra famosa immagine è quella che si trova nel Papiro di Dama-Heroub, della XXI dinastia, nella quale si trova Horus bambino, all'interno del Disco Solare, sostenuto dal Leone Akhet (simbolo dell'orizzonte dove il sole sorge e tramonta) e circondato dal dio serpente Mehen, ancora una volta nella forma di un Ouroboros.
Un capitolo a parte va riservato all'interpretazione della figura geroglfica dell'Ourobors fatta da Orapollo, scrittore egiziano di Nilopoli, autore di Hieroglyphiká, un'opera sistemica in due libri in lingua copta sui geroglifici, non anteriore al sec. IV d.C., scoperta nel 1422 dal viaggiatore Cristoforo Buondelmonti e portata alla corte di Cosimo de' Medici. Quest'opera, concepita probabilmente in un ambiente di eruditi che cercavano di recuperare la misteriosa scrittura egizia, di cui ormai si erano perse le tracce, ebbe un'ampissima diffusione nel Rinascimento e nei secoli successivi. Fino, infatti, alla scoperta del reale significato dei geroglifici egizi compiuta da Champollion, si ritenne che il libro di Orapollo fosse in grado di rivelare i significati morali e religiosi dei misteriosi geroglifici egizi.
Nel Libro Primo, Capitolo Secondo non viene nonimato l'Ouroboros, ma viene descritto un Serpente che si divora la coda quale simbolo usato dagli antichi Egizi per descrivere il Mondo, l'Universo e l'Unità di Tutte le cose:

«Quando vogliono scrivere il Mondo, pingono un Serpente che divora la sua coda, 
figurato di varie squame, per le quali figurano le Stelle del Mondo. 
Certamente questo animale è molto grave per la grandezza, si come la terra, è ancora sdruccioloso, 
perché è simile all'acqua: e muta ogn'anno insieme con la vecchiezza la pelle. 
Per la qual cosa il tempo faccendo ogn'anno mutamento nel mondo, diviene giovane. 
Ma perché adopra il suo corpo per il cibo, questo significa tutte le cose, 
le quali per divina providenza son generate nel Mondo, dovere ritornare in quel medesimo»

Gnosticismo
Lo gnosticismo fu un importante movimento del cristianesimo delle Origini, sviluppatosi soprattutto ad Alessandria d'Egitto nel II-III secolo e suddiviso in numerose scuole. Il serpente era il principale animale simbolico degli Ofiti (dal greco ὄφις, ofis, "serpente") e dei Naasseni (dall'ebraico nâhâsh, "serpente"), che gli attribuivano facoltà demiurgiche e talvolta lo associavano al Cristo. Anche il dio gnostico Abraxas era un ibrido umano-animale, con la testa di gallo e le gambe di serpente e diffusissimi erano i suoi talismani con scritte magiche incorniciate dal serpente Ouroboros, quale simbolo del dio Aion, espressione gnostica della totalità del tempo, dello spazio e dell'oceano primordiale che separava il regno superiore dello pneuma, dalle tenebrose acque del mondo inferiore.

Tradizione alchemica
Ouroboros nella Chrysopoeia di Cleopatra

Nella tradizione alchemica l'Ouroboros è un simbolo palingenetico (dal greco πάλιν, palin, "di nuovo" e γένεσις, génesis, "creazione, nascita", ovvero "che nasce di nuovo") che rappresenta il processo alchemico, il ciclico susseguirsi di distillazioni e condensazioni necessarie a purificare e portare a perfezione la "Materia Prima". Durante la trasmutazione la Materia Prima si divide nei suoi principi costitutivi, per questo motivo l'Ouroboros alchemico viene spesso rappresentato anche nella forma di due serpenti che si rincorrono le code. Quello superiore, alato, coronato e provvisto di zampe rappresenta la Materia Prima in forma volatile, quello sottostante il residuo fisso, dalla loro ri-unione in un unico Ouroboros con le zampe e incoronato (quindi vincitore), si ottiene la pietra filosofale, il "grande elisir" o "quintessenza"
La più antica rappresentazione di un Ouroboros collegato all'alchimia si trova in una raccolta di scritti greci dell'XI secolo che illustra un trattato sulla "produzione dell'oro" scritto da un'alchimista chiamata Cleopatra vissuta ad Alessandria d'Egitto nel tardo IV secolo d.C.
Il testo, che si chiama la Chrysopoeia di Cleopatra[12] (da χρυσός, khrusos, "oro" e ποιεῖν, poiēin, "fare"), contiene l'immagine di un Ourobors, metà bianco e metà rosso, con all'interno la scritta ἒν τὸ Πᾶν (En to Pàn), traducibile come "l'Uno (è) il Tutto" oppure «Tutto è Uno».
Nella stessa pagina si trova un alambicco, alcuni simboli alchemici e un cerchio composto da tre anelli concentrici con scritte in greco che specificano ulteriormente il significato del serpens qui caudam devorat. Nel cerchio centrale si riconoscono i simboli dell'argento (mezzaluna) e dell'argento aurificato (semicerchio radiante). Nel primo anello si legge: "Uno (è) il Tutto; e per lui il Tutto e in lui il Tutto; e se non contiene il Tutto, il Tutto è nulla". Nel secondo anello una seconda scritta riporta la frase "Il Serpente è Uno, colui che ha il veleno con le due composizioni"[13]. Questi motti ricordano la famosa espressione eraclitea "Tutte le cose sono uno"[14], riadattata da Plotino nel detto "Tutto è ovunque e tutto è uno e uno è tutto"[15].
Altra celebre immagine dell'Ouroboros, anche questa di origine alessandrina, è quella riprodotta da Theodoros Pelecanos nel 1478 sulla base del Synosius un manoscritto andato perduto e attribuito a Sinesio di Cirene (370-413 d.C.)[16]. In questa figura si vede l'Ouroboros più simile a un drago, con le zampe, la cresta e il corpo color rosso e verde[17].
Anche nell'alchimia islamica la cosmologia e la concezione ermetica dell'Uno-Tutto si incarnano nella figura dell'Ouroboros[18] come si può vedere in un antico e celebre manoscritto arabo, il Kitab al-Aqalim di Abu 'l-Qasim al-'Iraqi ispirato ai geroglifici egizi[19] (London, British Library, MS Add 25724). In esso un serpente che si morde la coda racchiude i quattro elementi che danno origine al cosmo.

Influenza nell'arte e nella cultura di massa
Il simbolo dell'uroboro ha lasciato una traccia ben visibile sia nell'arte classica, sia nella cultura di massa.
Dal punto di vista artistico, esempi di uroboro si trovano nel monumento funebre a Maria Cristina d'Austria del 1805, a Vienna, nel quale Antonio Canova pone sul vertice della piramide un medaglione col busto della defunta racchiuso in un uroboro, e nel Pantheon di Roma dove, sul monumento funebre al cardinale Consalvi, lo scultore Bertel Thorvaldsen ha raffigurato un uroboro che circonda il cristogramma.
Nella cultura di massa il simbolo conta numerose raffigurazioni, in ambito letterario, cinematografico, televisivo, fumettistico e videoludico, specie in ambientazioni di genere fantasy o del mistero. Il simbolo è ricorrente, ad esempio, nelle serie televisive The Lost World e Hemlock Grove, così come nella serie manga e anime Fullmetal Alchemist, dove è presente sul corpo degli Homunculus. Nel celebre romanzo di Michael Ende La storia infinita, il talismano Auryn è basato sull'uroboro, e Il serpente Ouroboros è il titolo di un romanzo fantasy di Eric Rücker Eddison del 1922.

Il talismano Auryn che compare ne La storia infinita di Ende,
e nei suoi adattamenti televisivi e cinematografici



giovedì 7 aprile 2016

Osho - Le persone mature in amore si aiutano a essere libere

"Le persone mature in amore si aiutano a essere libere, si aiutano l’un l’altra a distruggere ogni tipo di legame. E quando l’amore fluisce nella libertà c’è bellezza. Quando l’amore fluisce nella dipendenza c’è bruttezza. Ricorda, la libertà è un valore più alto dell’amore. Quindi se l’amore distrugge la libertà, non ha alcun valore"


Credo che l’amore abbia un punto di non ritorno

Credo che l’amore abbia un punto di non ritorno, un punto che una volta varcato non ci permette di tornare indietro. È in quel preciso istante che ci si spoglia dei vestiti razionali e ci si tuffa in mare, dimenticando il salvacuore, anche se non sappiamo nuotare. 
E forse quel punto ogni volta diventa l’incoscienza più preziosa della nostra vita.

Massimo Bisotti  (Incipit La Luna Blu)

©Pasquale Fuscaldo

lunedì 4 aprile 2016

Le stranezze della vita

La vita è troppo strana: 
Ci vuole la tristezza per sapere cosa sia la felicità. 
Il rumore per apprezzare il silenzio.
L'assenza per valutare la presenza.

Vincent Van Gogh - Rami di mandorlo in fiore (1890)

Lev Tolstoj - L'amore impedisce la morte



L'amore impedisce la morte. L'amore è vita. Tutto, tutto ciò che io capisco, lo capisco solamente perché amo. 
È solo questo che tiene insieme tutto quanto. L'amore è Dio (Natura), e il morire significa che io, una particella dell'amore, ritorno alla sorgente eterna e universale.

Lev Tolstoj (Citazione tratta da Guerra e Pace)

Sandro Botticelli e bottega - Madonna con Bambino e San Giovannino (dettaglio)


venerdì 1 aprile 2016

Armonia con la Natura

Il futuro dell'umanità dipende dalla nostra capacità di conciliare la scienza e la tecnologia con la saggezza della Natura.


Gregory Colbert - Ashes and Snow Project




☥ Cerco un attimo che valga una vita ∞