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lunedì 9 luglio 2018

Antonino Massimo Rugolo - E l’amore guardò il tempo e rise

E lamore guardò il tempo e rise. 

Un sorriso lieve come un sospiro,

come l’ironia di un batter di ciglio,

come il sussurro di una verità scontata.

Perché sapeva di non averne bisogno.

Perché sapeva l’infinita potenza del cuore

e la sua poesia e la magia di un universo perfetto,

al di là dei limiti del tempo e dello spazio.

E le ragioni dell’uomo, fragile come un pulcino,

smarrito come un uccello,

cannibale come un animale da preda.

Perché conosceva la tenerezza di una madre,

l’incanto di un bacio, il lampo di un incontro.

Poi finse di morire per un giorno,

nella commedia della vita,

nell’eterno gioco della paura,

nascosto, con il pudore della sofferenza,

con la rabbia della carne,

con il desiderio di una carezza.

Ma era là, beffardo, testardo, vivo.

E rifiorì alla sera, 

senza leggi da rispettare, 

come un Dio che dispone, sicuro di sé,

bello come la scoperta, profumato come la luna.

Ma poi si addormentò in un angolo di cuore 

per un tempo che non esisteva 

e il tempo cercò di prevalere,

nel grigio di un’assenza senza musica, senza colori.

E sbriciolò le ore nell’attesa,

nel tormento per dimenticare il suo viso, la sua verità.

Ma l’amore negato, offeso,

fuggì senza allontanarsi, 

ritornò senza essere partito, 

perché la memoria potesse ricordare

e le parole avessero un senso

e i gesti una vita e i fiori un profumo

e la luna una magia.

Perché l’emozione bruciasse il tempo e le delusioni,

perché la danza dei sogni fosse poesia.

Così mentre il tempo moriva, restava l’amore. 

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